Swiss House Rossa – Sinusoïde, permanent work in situ

 

by Daniel Buren & Davide Macullo

In collaboration with Mario Cristiani – Galleria Continua

 

Swiss House Rossa rappresenta l’impegno costante di costruire nel rispetto dei luoghi, di dare un significato ad ogni nostro gesto per aiutare la nostra comprensione della civiltà.

E’ un’opera d’integrazione tra arte e architettura, una scultura abitabile e un’architettura che ha bisogno dell’arte per essere completata, anche dal profilo della sua funzione primaria, quella di proteggere l’uomo dalle intemperie.

Daniel Buren lo abbiamo coinvolto perché durante gli anni della nostra formazione, attraverso i suoi segni riconoscibili, ci ha insegnato il piacere alla sintesi nell’osservare la bellezza della natura. Oggi abbiamo una sua opera permanente nel cuore delle alpi svizzere.

Entriamo in questo spazio, fabbricato dal luogo: un ambiente fantastico, eppure reale. Così giusto, come desideriamo che il mondo sia.

La valle Calanca, quando ci si va si dimenticano le cose come le si conoscono. Il tragitto per arrivare in fondo è breve, ma è un viaggio lungo una vita.

Una volta dentro, la valle si chiude, davanti si apre la porta dei sogni.

Pareti rocciose, foreste, i campi sono morbidi, ondulati, il lavoro  di secoli di uomini e donne, ci riscalda. La roccia ci racconta, la storia della nascita della terra, e quanto si è dovuta muovere, per regalarci questo luogo fortunato.

Rossa è un luogo della memoria dove della semplicità si è fatta civiltà. Il nostro compito sta nel continuare quest’arte di amore per il territorio attraverso gesti umili ma indelebili. E’ un villaggio delle Alpi svizzere a 1100 metri di altitudine quasi alla fine della valle, dove la natura si esprime prevaricando la volontà degli esseri umani e li aiuta a relativizzare la loro presenza nel mondo.

Costruire in questo contesto significa seguire i segni del passato nella loro essenza, della pace di un luogo che catalizza energie difficili da descrivere. L’apparente semplicità urbana del luogo è un intreccio complesso di equilibri tra gli uomini e le pietre usate per costruire il proprio habitat.

Nulla qui è nuovo. Ogni oggetto viene divorato e amalgamato dalla storia e dalla natura e dove ancora si resiste alla mercificazione del territorio sia fisico che spirituale.

Swiss House si pone spazialmente lungo una linea di volumi di case patrizie che formano un agglomerato attorno alla chiesa del villaggio. Con il nuovo volume si sottolinea questo asse sia in modo fisico (ripresa del volume “patrizio”) che concettuale (affermazione di una volontà oltre la nostra permanenza).

La croce in proiezione verticale, l’arrotondamento degli spigoli e la semplice torsione del tetto rendono dinamico e rivisitano l’archetipo della “casa”. Quella disegnata dai bimbi: due linee verticali, due falde diagonali, dei buchi per far entrare la luce. È la stessa cosa-casa, ma completamente diversa.

È l’archetipo reinventato per testimoniare che le ragioni del fare sono inesauribili e che gli edifici sono la nostra arte pubblica, così come la natura che ci circonda non è sempre la stessa, ma cambia e assume nuovi significati a seconda di come la osserviamo.

 

È un recinto che definisce uno spazio dinamico. I punti di vista e le penetrazioni di luce lavorano sulla percezione del tempo, dall’assenza alla velocità di scorrimento istantaneo delle immagini. È una linea ininterrotta di emozioni. Ogni apertura è calibrata e orientata su scorci di paesaggio scelti. Ogni punto di vista è diverso e ogni respiro del paesaggio suggerisce cose diverse.

Le parti interrate sono in calcestruzzo armato, il volume superiore interamente in legno,  senza interpretare la tipologia costruttiva tradizionale delle alpi, ma utilizzandola così com’è.